11 marzo 2007

Os Patos do Sul: la Disney brasiliana

PREMESSA PER I NON “INIZIATI”

Le storie menzionate in questo articolo compaiono con il titolo italiano, il titolo originale, l’anno di pubblicazione e il codice. Che cos’è il codice? È una serie di numeri e lettere, riportata in caratteri molto piccoli nella prima vignetta in basso a sinistra, che identifica ogni storia, come la targa identifica un automezzo. Questo codice è formato da una o più lettere indicanti il Paese di produzione seguiti da una serie alfanumerica che individua la testata su cui la storia è stata pubblicata per la prima volta. Per esempio, il codice I P319 indica l’Italia (I) e la testata Paperino (P) numero 319 (e per onor di cronaca, corrisponde a Paperi sul Ghiaccio di Figus/Sarda/Pastrovicchio).


* * *


“Oh-oh! Cos’è? Un pappagallo?”

        Lo esclama Paperino, mentre il pennello dell’artista inizia a tratteggiare un grosso, tondeggiante becco giallo. È una delle scene più famose di Saludos, amigos!, la pellicola disneyana del 1943 che racconta, con una divertente e – per l’epoca – innovativa commistione tra cartone animato e personaggi in carne e ossa (cinquant’anni prima di Who framed Roger Rabbit?!), il viaggio compiuto da un nutrito contingente degli studios di Burbank, compreso Walt in persona, nell’universo di colori e di popoli del Sud America.
        Forse, all’epoca, chi creò Zé Carioca non immaginava che il verde papagaio avrebbe dilagato dal grande schermo anche nei fumetti, conquistando una popolarità tale da renderlo, nel suo Paese di origine, il perfetto vicariante meridionale del papero più famoso del Nord America. Ma con un po’ meno sfortuna, un po’ meno irascibilità e, se vogliamo, una repulsione ancora maggiore verso ogni forma di lavoro. E ovviamente, con un tocco consistente di jeitinho brasileiro, quel misto di umorismo, allegria e simpatica indolenza che da sempre caratterizza gli abitanti del verde regno del caffè.
        L’esplosione sul mercato dei fumetti targati Brasile si ha nei primi anni Sessanta, quando la Editora Abril, che già da una decina d’anni pubblicava sul territorio nazionale, sulla testata O Pato Donald (che altro non è che il nome in portoghese di Paperino) le storie di produzione nordamericana, inizia a diffondere in patria e all’estero anche l’opera degli autori locali. Nelle loro mani, i personaggi della banda Disney iniziano a trasformarsi, dando a poco a poco vita ad un nuovo filone di storie, che non sarebbe azzardato definire un genere a parte.
        E l’esuberante Zé Carioca, inizialmente affidato alle matite di Kato, Igayara, Canini e Noely, è il primo personaggio (come avrebbe potuto essere altrimenti?) a conquistarsi, nel suo Paese d’origine, una testata tutta sua, Zé Carioca appunto, il cui primo numero esce nel dicembre 1960. Il successo di Zé in patria è naturalmente immenso, tanto che fin dall’inizio gli sceneggiatori iniziano ad allargare l’orizzonte delle sue storie, quasi sempre brevi ma ricche di gags e spunti comici, stile che diverrà una sorta di marchio di fabbrica della  scuola brasiliana.
        Dopo appena un anno, la famiglia di Zé (diminutivo di José, il nome con cui è noto in Italia) si è già allargata e comprende i nipotini Zico & Zeca,  cui seguiranno il papero di colore Nestore (Nestor, 1967), quindi lo svagato papero bianco Alfonsino (Dentinho o Alfonsinho, 1972), nonché il “gigante buono” Pietrone (Pedrão, 1972), anch’egli, come molti brasiliani, di pelle scura (ma in Italia, dove le storie venivano ricolorate, appariva come un bianco). Grazie agli sceneggiatori, Zé troverà inoltre in patria l’amore della “cocorita” Rosina (Rosinha Vaz) e la compagnia del cane Soneca (1973).

 
…e il jeitinho conquista Paperopoli…

        Ma la matita degli artisti del Sud non si limiterà a ritrarre il mondo caldo e colorato di Zé Carioca. Dopo appena qualche anno, la rappresentanza brasiliana della Disney sbarcherà a Paperopoli, facendo così conoscenza con personaggi ben più noti al grande pubblico di tutto il globo. Nelle loro mani, Paperino, Paperone e Paperoga, che essi chiamano rispettivamente Pato Donald, Tio Patinhas e Peninha inizieranno a modificare sostanzialmente il loro carattere e saranno sempre più conquistati dall’allegria e da quel pizzico di assurdità tanto caratteristici della patria dei loro nuovi registi. Facendo onore alla loro fama di characters estremamente adattabili e flessibili, le “grandi stelle” del firmamento disneyano si caleranno perfettamente nella parte, abbandonando a poco a poco gli stilemi barksiani e finendo per essere, anch’essi, completamente contagiati dal jeitinho.
        Ovviamente, non tutti i personaggi si prestano allo stesso modo alla nuova caratterizzazione. Se Paperino, per il suo impersonare l’uomo comune, si rivela un ottimo attore anche in Sud America, il Paperone brasiliano può risultare invece una figura un po’ forzata, e la sua unica differenza rispetto al suo alter ego settentrionale risiede forse nell’estremizzazione, ove possibile, dei lati già estremi della sua personalità.

 
…Arriva Paper Bat!

        Ma se Paperino piace ai brasiliani, Paperoga piace ancor di più. E in effetti, con il suo bizzarro temperamento artistico, la stravaganza, l’allegria che non scompare neanche davanti a clamorosi insuccessi (a differenza dell’irascibile Paperino), Paperoga sembra fatto apposta per piacere ai brasiliani. Il papero che Dick Kinney e Al Hubbard presentano alla famiglia Disney nel 1964 sembra fin dagli inizi permeato di jeitinho brasileiro.
        Se Paperoga ha successo in Europa, tanto da diventare in Italia (dove è affidato a Scarpa e Cavazzano) una presenza costante sulle pagine degli albi, in Brasile sarà un ospite fisso, e proprio in quel Paese troverà “famiglia”. Si fidanzerà con Gloria (Glorinha, 1972) e riceverà spesso le divertenti (per i lettori, molto meno per lui) visite del dinamico, turbolento, irresistibile nipote Pennino (Biquinho, 1982), presumibilmente figlio del fratello Abner detto Chiarafonte (Whitewater è il nome originario usato da Barks); secondo altri, invece, figlio di una non meglio precisata sorella. Nello stesso anno di Pennino esordisce nei fumetti la sua inseparabile amica, la “porcellina” Cinzia (Cíntia), talvolta chiamata Virginia in Italia.
        Ivan Saidenberg è forse l’autore che più approfondisce il personaggio di Paperoga in Brasile. La sua produzione relativa a questo personaggio, illustrata inizialmente soprattutto da Carlos Edgard Herrero, quindi da Irineu Soares Rodrigues e Euclides K. Miyaura, è incredibilmente ricca. E, prendendo spunto dall’italianissimo Paperinik, lo sceneggiatore brasiliano decide di dare al suo “pupillo” anche un’identità segreta.
        Così, il 1973 sarà ricordato per la comparsa nei cieli paperopolesi di un supereroe imbranato, dotato di un corredo di “armi” improbabili e fantasiose, capace solo di complicare i guai che tenta di risolvere, perennemente destinato al fallimento e, proprio per questo, irresistibilmente simpatico. Il suo nome è Morcego Vermelho, che tradotto letteralmente suonerebbe “Pipistrello vermiglio”, ma in Italia si chiama Paper Bat.
        Il suo costume è tutto un programma: rosso e violetto, con un cappuccio che copre la testa coronato da due orecchie aguzze da pipistrello, un nero mantello svolazzante, guanti, scarponcini e un copioso corredo di marchingegni tanto ingegnosi quanto inutili. La sua vera identità è conosciuta solo da Paperino e Archimede. In una memorabile storia del 1976 (Os doze Trabalhos do Morcego Vermelho, B 760049, testo di Ivan Saidenberg, disegni di Carlos Edgard Herrero), in sei puntate, l’improbabile papero mascherato si cimenterà nientemeno che con le 12 fatiche di Ercole. La storia, più volte pubblicata in Italia, è una delle più lunghe realizzate in Brasile.
        Visto il successo del Morcego Vermelho, Paperoga inizierà ad essere utilizzato in diverse serie, in ognuna delle quali assumerà una diversa personalità alternativa, tra cui quella di un solitario pistolero del Vecchio West (Pena Kid, 1974), una sorta di Tarzan amazzonico (Pena das Selvas, 1978) e un cavernicolo davvero… grottesco (Pena das Cavernas, 1982).


Morcego Vermelho, noto da noi come Paper Bat, esordisce nel 1973.



“Il mio nome è Dinamite: state alla larga, o sparo!”

        Tuttavia, degna di nota è soprattutto la serie di storie in cui il fricchettone dei paperi si incontra, o meglio si scontra, con il rude e scorbutico contadino Dinamite Bla (Urtigão, in inglese Hardhaid Moe), per la sempre graduale rilevanza assunta da quest’ultimo personaggio. Il rozzo ma simpatico Dinamite finisce per oscurare Paperoga, divenendo spesso l’unico protagonista delle storie in cui compare.
        L’aspetto che rende Dinamite particolarmente interessante è comunque un altro, e cioè il fatto di costituire l’esempio più lampante di ciò che lo sceneggiatore Arthur Faria jr. chiama regionalizzazione dei personaggi, vale a dire l’astrazione dall’originario contesto sociale nordamericano di un character che finisce per assumere connotazioni caratteristiche di un altro ambito geografico.
         In effetti, del canuto hillbilly delle Montagne Rocciose rimane ben poco nell’Urtigão popolare nell’altro emisfero, che si trasforma in un perfetto contadino della Valle del Paraiba, nello Stato di São Paulo: e se Tony Strobl, Pete Alvarado e Phil De Lara ce lo avevano spesso mostrato intento a mietere il grano e a raccogliere le mele, Arthur Faria jr. e Ivan Saidenberg preferiranno fargli raccogliere i manghi, e nei suoi campi faranno crescere solo mais. Anche i suoi animali domestici risentiranno del “trasloco”, prima fra tutti la sua mucca, che mostra in molte tavole le lunghissime orecchie pendenti caratteristiche della razza Indo-Brazilian, la più diffusa in Brasile, derivata dagli zebù indiani e completamente diversa dai bovini di casa nostra.

 
Nascono nuovi mondi…

        È naturale che attorno ai personaggi “anagraficamente” brasiliani, quindi in particolare Zé Carioca e la sua banda, si siano concentrate le attenzioni degli sceneggiatori, che li hanno utilizzati come specchio caricaturale della loro società. Molte delle loro storie a noi sembrano assurde per il semplice motivo che ci manca completamente la sola idea di come possa essere la vita in un Paese come il Brasile, così diverso dal nostro.
        Ricordo che mi stupii molto nel leggere una storia natalizia di Zé Carioca, in cui i protagonisti trascorrevano il Natale (sotto un sole cocente) raccogliendo e mangiando le jaca, che sono strani, enormi frutti di un albero imparentato con l’albero del pane, perché le noci e la frutta secca in genere, importata dall’Europa, costava così cara che non avrebbero potuto permettersene se non una a testa.
        A proposito di regionalizzazione, uno degli elementi che rendono le storie brasiliane particolarmente interessanti è costituito dal trattamento degli elementi del paesaggio. A differenza di quanto accade in Italia, dove la maggior parte dei disegnatori preferisce inserire i personaggi in un contesto ambientale comunque nordamericano, qui l’origine geografica degli artisti è chiaramente espressa dalle tavole che pullulano di montagne a panettone con grappoli di baracche arrampicati fin sul cocuzzolo, strade dove la gente passeggia perennemente in canottiera, campagne lussureggianti con alberi dagli stranissimi frutti variopinti.

Aracuán, il “clown della giungla” comparso per la prima volta nel 1945 e spesso riutilizzato dai brasiliani.


       

        Quest’uso peculiare dei personaggi porta inevitabilmente gli autori ad allontanarsi sempre più dalla continuity, vale a dire l’osservanza, piuttosto rigida in altre scuole, delle genealogie ufficiali delle famiglie disneyane. In Brasile compaiono di continuo parenti alternativi dei Paperi, mentre quelli originari sono spesso ignorati. Per esempio, nella gradevole storia Il primo deposito di Zio Paperone (Tio Patinhas em… A primeira caixa – forte, B 830113, 1983), Arthur Faria jr. propone, affidandola alla valida matita di Irineu Soares Rodrigues, una sua visione del tutto personale (che farà illustrare per l’occasione dal prof. Ludovico, che altri non è che Pico de Paperis) dell’infanzia del papero più ricco del mondo.
        All’interno di questo “microcosmos” sudamericano, fioriscono con il tempo numerose altre serie simili a quelle già trattate, spesso sviluppandosi intorno a personaggi nati come spalle o comprimari, che vengono elevati al rango di protagonisti e trasformati in personaggi a tutto tondo. Vale la pena di ricordare a questo proposito la divertente serie Os adulescentes, che racconta le avventure di un gruppo di teenagers paperopolesi, tra i quali ritroviamo Paperetta Yé Yé (di origine italiana: la bionda nipotina di Doretta Doremi esordisce infatti in Arriva Paperetta Yé Yé, I TL 577-A, 1966, sceneggiata e illustrata dal grande Romano Scarpa), al cui fianco ricompare il bizzarro, pasticcione, simpaticissimo Aracuán (noto in Italia con il nome di Beckett), il pennuto comparso sulle scene nel film I tre caballeros del 1945, e utilizzato nei fumetti anche da José Maria Manrique in Paperino e il pagliaccio della giungla (Donald Duck – Clown of the Jungle, D 2000-023), adattamento per l’albo speciale scandinavo From All of Us to All of You dell’omonimo cortometraggio del 1947.
         In Italia Topolino, che già pubblica storie di provenienza nordeuropea, attinge quindi a piene mani anche dal serbatoio del Brasile. Negli anni Ottanta, due storie inedite lunghe e complesse, quasi sempre di produzione italiana, aprono e chiudono il giornale, mentre altri due o tre episodi, spesso di produzione straniera, sono collocati nelle pagine più interne, tra una rubrica e l’altra. Spesso si tratta di storie di quattro o cinque tavole in tutto.
        Vi compaiono spesso personaggi secondari, che non interagiscono in alcun modo con “divi” del fumetto del calibro di Paperino e Paperone e sembrano, anzi, vivere in una dimensione parallela, tutta loro. È il caso di Ezechiele Lupo, Bambi, i Tre Porcellini e il piccolo indiano Penna Bianca, che hanno recitato per anni la parte degli attori di “serie B” sulle pagine del Topo, nelle storie di origine danese (disegnate per lo più dagli spagnoli Fernando Güell, Isabel Penalva e Julio Ramos) che in molti casi erano utilizzate come riempitivo.
        Anche le storie il cui codice comincia con la B di Brasile, come sanno tutti i lettori più appassionati di Topolino, sono storie brevi, ma i numerosi spunti comici e, spesso, gli elementi bizzarri, ai limiti dell’assurdo, le rendono di solito immediatamente distinguibili. Comunque, fanno parte di quel genere di storie che il lettore medio di Topolino tende a leggere frettolosamente, quando non a saltare addirittura; quasi sempre, comunque, costituiscono più che altro un piacevole intermezzo tra due episodi “seri”.


Il Brasile su Topolino

        E dato che su Topolino storie italiane e storie brasiliane compaiono fianco a fianco, il paragone è quasi inevitabile, e in effetti le prime appaiono indubbiamente più articolate nella trama e curate nei disegni. Non si può negare, in effetti, che la scuola italiana si distingua da ogni altra per la complessità delle sceneggiature – tali da aver influenzato addirittura maestri del cinema per i loro film – e che i disegnatori italiani, assai più di quelli stranieri, si distinguano l’uno dall’altro per sviluppare ciascuno un proprio tratto personale e inconfondibile, pur senza snaturare i personaggi che disegnano.
        Tuttavia, a mio avviso, anche la scuola brasiliana ha dato all’universo disneyano contributi non indifferenti, esplorando nuovi spazi e spingendosi fino a dar vita ad un filone che si è evoluto indipendentemente dalle altre scuole, fino a costituire quasi un genere a sé stante. E la scuola brasiliana ha fornito comunque, accanto a un numero incredibile di episodi brevi, anche ottimi prodotti “all’italiana”, storie lunghe degne di nota in cui i personaggi si trovano, spesso loro malgrado, coinvolti in situazioni avventurose che ci ricordano da vicino le storie di casa nostra, pur restando, nel pieno della tradizione brasiliana, permeate di elementi soprannaturali, a volte quasi assurdi.
        Due esempi significativi sono costituiti dalla già citata Le dodici fatiche di Paper Bat e da Zio Paperone e il sogno di Natale (Um sonho de Natal, 1984, B 830127), entrambe sceneggiate dal bravo e prolifico Ivan Saidenberg. Quest’ultima storia, pubblicata praticamente tutti gli anni a dicembre su una delle numerose ristampe, è stata l’ultima storia di produzione non italiana ad aprire (per ben due volte [1]) un numero di Topolino. È incredibile come nelle 21 tavole che compongono la storia il bravo (e purtroppo sottovalutato) Euclides K. Miyaura sia riuscito, dalla sua patria sempre calda e assolata, a ricreare un’atmosfera natalizia “nordica” che nulla ha da invidiare a quella tratteggiata da molti suoi colleghi “settentrionali”.


Alô, amigos!

        Mi sembra a questo punto inutile sottolineare che anche gli autori brasiliani hanno dato al mondo disneyano un apporto non indifferente. Un filone di storie immediatamente riconoscibili, tanto spassose quanto uniche. Senza contare che ho sempre trovato meravigliose le ambientazioni, così diverse da quelle che ci sono familiari: una prova di come la varietà del mondo in cui viviamo si rifletta nell’universo dei nostri personaggi preferiti.
        E forse l’attaccamento dei brasiliani ai personaggi Disney è dovuto proprio alla “disneyanità” dei brasiliani stessi. Un popolo eterogeneo e festoso, felice di quello che ha (spesso non molto), capace di destreggiarsi tra le mille contraddizioni del gigante dell’America latina. Capace di ridere e far ridere, sempre e comunque.
        La scuola brasiliana ha purtroppo cessato la sua produzione, incredibilmente ricca e variata, intorno al 2000. Da lettore e ammiratore appassionato, concludo quindi questo articolo con un ringraziamento a tutti i maestri di questa scuola indimenticabile, che saluto con un disneyanissimo Alô, amigos!



Le illustrazioni presenti sono dell’autore.

Un vivissimo ringraziamento ad Alexandre Saramelli per la cortese collaborazione e le preziose informazioni fornite.





[1] In effetti, in Italia questa storia comparve due volte. La prima nel 1986, in una versione “scorciata”, con vignette di dimensioni ridotte e interamente ricolorata, e con un codice italiano (I TL 1830). La seconda a quattro anni di distanza, questa volta con il codice “vero”, la scansione originaria delle vignette e una traduzione migliore e più fedele. Si tratta del caso più famoso in Italia di “riciclaggio” di una storia sulle pagine di un periodico Disney.

28 commenti:

  1. Ah, ah! Aracuan me lo ricordo canticchiante nella giungla... Era un pò schizzatello!

    Comunque bell'articolo davvero, anche perchè per farlo credo ci sia voluta non poca documentazione di non facile reperibilità ;)

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  2. In effetti gran parte delle informazioni me le ha fornite Alex, il mio "corrispondente" brasiliano... quello che ho ringraziato in fondo all'articolo!

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  3. Che bell'articolo... complimenti davvero!

    Ora ho scoperto come mai, da bambino, alcune storie del Mega Almanacco mi piacevano così tanto... tutta colpa del "jeitinho"! :)

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  4. molto interessante... di tutta sta scuola brasiliana non ne sapevo nulla, non mi ci ero mai soffermato. bravo riccio!

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  5. riccio mi è molto piaciuto questo post!!!!

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  6. Le modifiche vanno proprio bene! :D

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  7. Sapevo che non mi avresti deluso, fratello.

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  8. riccio perché non passi più tempo su filmup al posto di tuo fratello?

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  9. E dannatamente ignorante

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  10. Più andiamo avanti e più mi sento dannatamente piccino nei vostri confronti. Fino ad un quarto d'ora fa non sapevo nemmeno chi fosse Aracuan.

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  11. Tranquillo..sei in ottima compagnia.

    Ma riccio è il fratello di Richmond giusto? alle volte le leggi della genetica saltano del tutto in aria.

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  12. Ma come!!!

    Aracuan girava nella giungla brasiliana cantando:

    "PARAPARAPAPPAPARAPAPA'

    PARAPARAPAPPAPARAPAPA'

    PARAPA-PA-PA-PA!!!"

    Ma che adorabile schizofrenicoooo!!!

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  13. Ah non c'era bisogno nemmeno di doppiarlo!

    Quando si dice che la musica e il canto sono un linguaggio universale.

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  14. Ah, che poi se qualcuno se l'è chiesto i disegni sono proprio di Zniga...

    C'è Aracuan che è meraviglioso e Paperoga - PaperBat che ha un becco così perfettamente preciso (è da quando leggo Topolino che ho scarsi risultati coi becchi... '-__- )

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  15. Avevo notato che i disegni erano i suoi..forse perchè c'è scritto -___-

    Comunque paper bat mi faceva morire..ma ormai son passati secoli..i miei topolino ammuffiscono nello scatolone in cantina

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  16. A me lo disse via pvt, perchè lessi questo articolo in anteprima! ;)

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  17. qui urge ridimensionare la presenza disneyana... mmm...

    Miz

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  18. Tranquilla, che c'è posto anche per il resto... ;)

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  19. LUK77!!!

    "Le illustrazioni presenti sono dell'autore" potrebbe riferirsi anche al creatore del personaggio, e non a quello dell'articolo...

    PI-GNO-LO! :P

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  20. ma guarda un po' che devo capire solo ora... luk77=penzolo

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  21. vabbè..dall'avatar non si capiva?

    Epperò utopia cara..pure tu un un pò pignola lo sei!

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  22. Aspè..ho capito bene solo ora chi è aracuan..quell'uccello che cantava una filastrocca stupidissima che da piccolo mi aveva fatto cappottare dalle risate ogni volta che la sentivo!


    http://www.youtube.com/results?search_query=aracuan

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  23. Siiiiiiii', e' lui!!!

    Erano perlomeno 10 anni che non vedevo quel cartone!!!

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  24. Esatto! Quella filastrocca che faceva:


    "Adapapapapapapapapapapapapapa

    adapapapapapapapapapapapadiya!"

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  25. Grazie tanti, Mr. Zniga.

    My name is Lucila Saidenberg, and I am the daughter of Mr. Ivan Saidenberg. I've been pointed to your page by Alexandre Saramelli.


    Thank you very much for your beautiful work and nice words about my father. He is alive and well, spending his retirement at Guarujá, in Brazil, and sends you (and all his fans here) his warmest regards.


    Un baccio,

    Lucila S. Saidenberg

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  26. Abbiamo anche i commenti oltreoceano... Questo blog sta diventando una figata! ^^

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  27. Speriamo venga a trovarci anche Fonzie.

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  28. Ottimo lavoro :)

    Non deve essere stato davvero facile...:)

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